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Parascandolo vs Gabriele

GC

Giambattista Parascandolo è il matematico italiano di OpenAI che si dedica a insegnare alle macchine a ragionare.

Questo trentatreenne romano è il primo italiano ad essere entrato nell'azienda americana che ha rivoluzionato il campo dell'intelligenza artificiale, e attualmente lavora al modello o3.

A volte, per cambiare il mondo, è sufficiente fermarsi a riflettere. È proprio questo l'approccio dei nuovi modelli di intelligenza artificiale sviluppati da OpenAI. L'ultimo di questi, chiamato o3, è un modello di ragionamento. A differenza di ChatGPT-4, non fornisce risposte immediate, ma si prende del tempo per riflettere, commettere errori, correggersi e migliorare. La particolarità è che a insegnare a questo modello a ragionare è un giovane ricercatore italiano, cresciuto con il metodo Montessori, che gli ha fornito le basi che oggi applica all'intelligenza artificiale.

Giambattista Parascandolo, 33 anni, ha conseguito una laurea triennale in matematica a Tor Vergata, una specialistica in Finlandia e un dottorato in machine learning presso il Max Planck Institute di Tubinga e l'ETH di Zurigo. Quattro anni fa, è entrato in OpenAI, diventando il primo italiano a far parte dell'azienda, quando era ancora una piccola startup di ricerca con 150 dipendenti. Oggi, OpenAI conta oltre 2.000 dipendenti ed è una delle aziende private più capitalizzate al mondo.

Parascandolo guida un team che lavora sull'Intelligenza Artificiale Generale e sui modelli di ragionamento, considerati una svolta epocale. Questi modelli sono progettati non per fornire la prima risposta disponibile, ma per fermarsi e ragionare. "Dante ha impiegato quindici anni per scrivere la Divina Commedia. Se avesse avuto una scadenza di un mese, l'opera non sarebbe stata la stessa. Cosa ha fatto in quegli anni? Ha pensato, ha scritto bozze, le ha corrette, ci ha ripensato, è tornato sui suoi passi. Ecco, questi modelli funzionano allo stesso modo: più riflettono, migliori sono le risposte che forniscono. E i loro pensieri sono leggibili, basta passarci sopra con il mouse. Appaiono e scompaiono, dicendo: 'Aspetta, questa cosa si può dire meglio', 'Fammi ricontrollare quel calcolo', 'L'utente chiede che… devo essere sicuro che tutto abbia un senso'. Leggendoli, ci si accorge che sono sorprendentemente simili ai pensieri di un essere umano".

In qualità di scienziato, Parascandolo ha sviluppato le basi tecniche affinché questi modelli imparassero a ragionare in tutto il mondo.

Romano, figlio di Renato Parascandolo, giornalista Rai ed ex direttore di Rai Educational, e di una regista di documentari culturali, Giambattista è cresciuto con il metodo Montessori. "Dai miei genitori ho imparato il valore dell'apprendimento e dell'esplorazione. Alla scuola materna Montessori ho ricevuto un'educazione improntata al fare, alla libertà e alla creatività in un ambiente strutturato. Ho unito i due metodi. Oggi facciamo la stessa cosa con le macchine: non insegniamo loro a ragionare, ma creiamo l'ambiente affinché possano farlo da sole".

Ascoltarlo è affascinante. Giambattista viene spesso invitato a spiegare al governatore della California o ai senatori il lavoro di OpenAI. Incontra le delegazioni italiane in visita alla Silicon Valley, illustrando le potenzialità di questi strumenti e le prospettive future. "Abbiamo tutti gli elementi necessari per continuare a migliorare questi sistemi. Sono ottimista riguardo a un continuo progresso. È stata e continua a essere una vera avventura, che vivo con un forte senso di responsabilità".

Fin da bambino, Parascandolo si è interessato al funzionamento della mente. "Mi sono sempre posto le classiche domande: chi sono, cosa voglio, perché…. Ma non cercavo risposte filosofiche, bensì pragmatiche. Ho sempre voluto lavorare su qualcosa che avesse a che fare con la comprensione della mente, ma non sapevo cosa". Ha iniziato a leggere i libri del neurologo e scrittore Oliver Sacks e riviste specializzate in neuroscienze, cercando modi per avvicinarsi a questo mondo. Dopo il liceo classico, che lo ha annoiato, si è iscritto prima a Ingegneria, poi a Matematica. L'Erasmus in Finlandia gli ha fatto capire la sua strada.

"Avevo 23 anni. Le reti neurali artificiali cominciavano a funzionare grazie a una nuova generazione di hardware sempre più potente. Ho capito che lì c'era qualcosa di interessante: un modo per studiare la mente senza rinunciare alla matematica". A quel punto, ha deciso di orientare tutti i suoi studi all'intelligenza artificiale, anche se all'epoca non esisteva ancora una formazione strutturata in questo campo. Così, ha iniziato a studiare da autodidatta, seguendo lezioni universitarie online.

"All'epoca c'erano pochissimi professori che insegnavano le reti neurali, ma alcuni avevano caricato i loro corsi online". Ha studiato e puntato a entrare in DeepMind, "l'unica azienda che lavorava seriamente sull'AGI. Ma per essere assunti serviva un dottorato. Così, ho conseguito un dottorato in informatica e AI tra Svizzera e Germania". Durante il dottorato, ha svolto due internship: una a Palo Alto presso Google X nel 2018 e una presso DeepMind a Londra nel 2019. Poi è tornato per concludere il dottorato, ma è arrivata la pandemia e le aziende hanno sospeso le assunzioni. Nel frattempo, ha fatto domanda per una posizione da professore al MIT di Boston, presentando un programma di ricerca sul ragionamento nelle reti neurali. Qui ha incontrato le perplessità della vecchia scuola. "Ho fatto circa 20 colloqui, arrivando sempre fino alla fine, ma la mia ricerca non convinceva. Diversi professori mi dicevano che quel filone non aveva senso, che le reti neurali erano una moda passeggera senza futuro. È stata un'esperienza molto formativa, che poi ho visto ripetersi in generale nel campo dell'AI".

Si stava verificando un cambio di paradigma e non tutti erano pronti. "C'è stata una prima ondata di intelligenza artificiale con un approccio completamente diverso, basato soprattutto su regole logiche, quindi più sul codice standard. Ma c'era una piccola corrente che diceva: no, il modo giusto non è mettere l'intelligenza nel codice, ma costruire un cervello artificiale che apprenda da solo. Per molto tempo, però, le reti neurali artificiali non hanno funzionato granché, soprattutto perché l'hardware non era ancora pronto. Non c'erano le GPU che usiamo oggi per allenare i nostri modelli. Poi hanno cominciato a funzionare, ma nel frattempo il campo si era trasformato, si era costruito sulle basi del paradigma precedente. E per molti professori è stato difficile accettare il nuovo paradigma".

Il rifiuto del MIT, però, non gli ha precluso la strada. Anzi. Superata la pandemia, le aziende hanno ripreso ad assumere e, una volta terminato il dottorato, Giambattista ha ricevuto due offerte: una da DeepMind e l'altra da OpenAI, all'epoca una startup in un edificio modesto a San Francisco. "Ho scelto di andare a vedere cosa stava succedendo negli Stati Uniti: avevano appena pubblicato GPT-3. Quando sono arrivato, OpenAI aveva un piccolo ufficio a San Francisco, ma l'energia era incredibile". Quattro anni dopo, l'azienda è diventata un colosso con 14 sedi nel mondo e più di 500 milioni di utenti attivi ogni settimana.

Cosa significa lavorare sul ragionamento dei modelli? "Noi non diciamo alla macchina cosa deve fare, ma costruiamo ambienti affinché possa imparare da sola. Questo si chiama apprendimento per rinforzo: invece di allenare l'AI con i classici dati, creiamo un ambiente che sia il più interessante possibile affinché possa apprendere da sola, provando e sbagliando. È un po' come con il metodo Montessori: metti il bambino in un ambiente stimolante, con giochi, computer, Lego, un ambiente ricco di possibilità, senza supervisione, e lo lasci libero di esplorare. E lui impara senza che nessun insegnante gli dica: devi imparare questo. Anche con l'intelligenza artificiale funziona così: se le dai un ambiente ben progettato, impara per esperienza, fa errori, li corregge, migliora".

Se gli si chiede di Sam Altman, risponde che è una persona molto alla mano. "Ogni tanto capita di fare due chiacchiere nei corridoi". Se gli si chiede dell'ultima acquisizione di OpenAI, la startup "io" fondata dall'ex designer di Apple Jonathan Ive con l'obiettivo di ridefinire la relazione tra esseri umani e intelligenza artificiale, risponde: "Non so niente al di fuori del mio ambito di ricerca diretta. Lavoro sul ragionamento, non sui dispositivi". Poi sorride. Dei genitori dice: "Sono molto appassionati, usano ChatGPT tutti i giorni". Dell'Italia: "La